Castello di Maredolce o Palazzo della Favara e il mandarineto
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Il Castello di Maredolce o Palazzo della Favara è un edificio palermitano in stile islamico che si trova alle pendici del Monte Grifone, nel quartiere Brancaccio, eriferia sud di Palermo, oggi quasi nascosto alla vista dalle costruzioni che lo circondano.
Nato probabilmente nel periodo arabo tra il 998 ed il 1019, durante il governo dell’emiro Kalbita “Ja’Far II”, era conosciuto come Palazzo della Fawwarah, dal nome attribuito alla sorgente che sgorgava dal monte, quando nel 1071, il normanno Ruggero I il Granconte conquistò la Sicilia e se ne impadronì. Ruggero II d’Altavilla trasformò e ampliò il palazzo e il suo giardino, realizzandovi una grande peschiera, alimentata da fonte ai piedi del Monte. L’edificio era quindi circondato per tre lati dall’acqua di un lago artificiale, detto “maredolce” per le sue grandi dimensioni, nella quale furono introdotte pesci di varie specie. Al centro, Ruggero vi fece costruire un isolotto a forma di Sicilia rovesciata, in cui piantò palme e agrumi e inserì diversi uccelli esotici. Il re, che nel castello di Maredolce soggiornava in inverno, utilizzava il lago sia per navigarlo come divertimento con la sua corte, sia come riserva di pesca.
Il palazzo, di forma rettangolare con una rientranza nell’angolo est, era dotato, com’era uso in epoca normanna, di una cappella privata dedicata ai Santi Filippo e Giacomo: la Cappella della Favara, costruita con molta probabilità sullo stesso luogo della originaria moschea privata dell’emiro. Tutto intorno si sviluppava un grande giardino ricco di alberi, agrumi ed altri alberi da frutto, corsi d’acqua e animali esotici, su ispirazione dei giardini islamici africani e spagnoli dell’epoca.
Particolarmente amato da Costanza d’Altavilla (1154–1198), che vi trascorreva l’estate con il piccolo figlio Federico, futuro imperatore illuminato con il nome di Federico II di Svevia (1194-1250), nel 1328 il castello viene ceduto da Federico d’Aragona, noto anche come Federico III di Sicilia (1273 o 1274–1337) ai Cavalieri Teutonici che lo trasformarono in ospedale. Nel 1460 venne concesso in enfiteusi alla famiglia siciliana dei Beccadelli dei Bologna, che inziarono a trasformarne la proprietà in un’azienda agricola, opera completata con il passaggio a un nuovo proprietario, nel 1600, Francesco Agraz, duca di Castelluccio.
Con gli inizi dell’Ottocento inizia il declino e l’abbandono di Maredolce, detto “castellaccio” dagli abitanti più povero del quartiere, che lo usavano abusivamente per ricoverare le bestie, ma anche per viverci.
Acquisito per esproprio dalla Regione Sicilia nel 1992, nel 2007 è stato avviato, a cura della Soprintendenza ai BB.CC. e AA. di Palermo ha condotto un lento e impegnativo restauro del castello, che ha portato al recupero del grande cortile centrale e delle stanze rimaste, nonché avviato un programma di recupero dell’intera area, per restituirla interamente alla pubblica fruizione.
Poco o quasi nulla rimane però del grande lago, prosciugato da tempo, divenuto fin dal 1600 un acquitrino, e infine terreno asciutto.
Il mandarineto
Oggi l’agrumeto di Maredolce è parte di quel poco che è rimasto della famosa Conca d’Oro, la pianura sulla quale si trova Palermo, compresa fra i Monti di Palermo e il Mar Tirreno e attraversata dal fiume Oreto. L’area, che si estende per circa cento chilometri quadrati, è oggi prevalentemente edificata, ancor più dopo l’intensa speculazione edilizia che si è verificata negli anni Cinquanta-Sessanta, nota come il Sacco di Palermo, alterano l’aspetto dell’intera zona e della città.
La Conca d’Oro, grazie al terreno fertile, alla ricchezza di acqua e all’esposizione protetta e soleggiata, è da sempre stata occupata da coltivazioni agricole, un tempo molto frammentarie. Fra il 1400-1500 si sviluppa su ampia scala, la coltivazione della canna di zucchero, che molto arricchì la città.
Nel 1500-1600 è la volta dello sviluppo degli orti, dei vigneti e degli uliveti. Ai primi del 1800 inizia il secolo degli agrumi: la Conca d’Oro diventa un unico grande agrumeto, tanto che lo scrittore Guy del Maupassant la descrisse come la “foresta profumata”: finalmente gli agrumi potevano arrivare freschi a Londra e Parigi, e, dai primi del ‘900 anche in America (la stessa sostituzione delle viti e degli ulivi a favore degli agrumi si verificò, nello stesso periodo, anche in Liguria).
All’inizio, si coltiva, in monocultura, l’arancio (Citrus sinensis), fino a che, nel 1850 arancio scoppia una grave epidemia di Phytophthora, che provoca il marciume delle piante. Subentra allora il limone (Citrus x limon), che a sua vola ha un grande successo per altri 50 anni, in particolare dopo che, nel 1875, venne quasi per caso scoperto la pratica della forzatura (assetandolo per poi bagnarlo in abbondanza), così da produrre frutti anche in estate, i cosiddetti “verdelli”.
Un’epidemia di Phoma tracheiphila distrugge i limoneti, che vengono sostituiti, verso i primi del Novecento, dall’ultimo agrume importante arrivato in Europa dalla Cina, a inizio Ottocento: il mandarino (Citrus reticulata), giunto prima nei Kew Garden di Londra, dove era utilizzato come pianta ornamentale da serra, da qui venne inviato a Malta per la produzione dei frutti e da Malta arrivò Palermo).
All’inizio si coltiva mandarino ‘Avana’, così chiamato per il colore della buccia matura, simile a quello dei sigari cubani, i cui frutti maturano in dicembre. Poi, negli anni ‘Cinquanta nella zona di Ciaculli, venne individuata una mutazione naturale che matura a febbraio, utilizzando il freddo per avere un contenuto di zuccheri maggiore, e che inoltre contiene meno semi: battezzata mandarino “Tardivo di Ciaculli” e quella ancora presente in ciò che rimane degli agrumeti della Conca d’Oro, proprio in corrispondenza di Mardedolce.
In totale 7 ettari, di cui 5 situati sull’isola al centro del lago prosciugato, e 2 tutto intorno. sotto e cinque nell’isola, ancora irrigate con l’antico sistema di irrigazione, format da canalizzazioni e pozzetti in pietra e mattoni. le piante, coltivate in biologico presentano un sesto di impianto piuttosto fitto perché devono farsi un po’ ombra una con l’altra. Una parte del mandarineto è in completo abbandono, ma in attesa di restauro.
Una cooperativa sociale si è aggiudicata il bando per il recupero del mandarineto, ricevendo in concessione per sei anni i sette ettari di terreno che lo compongono, sulla base di un programma di coltivazione e utilizzazione condivisa con la Soprintendenza.
L’obbiettivo è ridare vita al mandarineto storico, riaprire i sentieri e dunque far rinascere Maredolce, coinvolgendo giovani portatori di handicap e detenuti.
Curiosità:
da dove viene la parola “mandarino” per indicare i frutti di Citrus reticulata?
Dal colore delle tuniche dei dignitari cinesi, o mandarini.
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