Antiche varietà di mele piemontesi

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Pare che la coltivazione del melo in Piemonte sia stata importata dai Romani, colonizzatori dell’area verso il 100 a.C.. Nell’epoca dei Comuni e delle Signorie, per la facilità di coltivazione, di conservazione e di trasporto, il melo entrò sotto la protezione della regolamentazione degli statuti comunali piemontesi. La melicoltura tradizionale cedette poi il passo a quella intensiva di pianura negli anni ’60 del Novecento, e le varietà locali vennero rapidamente sostituite da quelle straniere, più produttive, più grandi, più belle, più adatte alle tecniche moderne, portando in pochi anni alla quasi scomparsa di un’enorme ricchezza. Una caratteristica più o meno comune a quasi tutte le vecchie varietà di mele piemontesi è quella di conservarsi a lungo e di diventare più saporite e aromatiche con il passare del tempo; l’eccezione è la Carla, piccola, irregolare, giallo-paglierino screziata di rosa, che va consumata fresca. Tra le altre, la Grigia di Torriana è tondeggiante, leggermente schiacciata, gialla, ruvida e rugginosa; la Buras è parente delle grigie, ma più simile alle renette; la Runsè è inconfondibile per il colore rosso vinoso e la buccia lucente, oggi apprezzatissima dagli chef più in voga; la Gamba Fina ha forma appiattita, colore rosso scuro e polpa bianca; la Magnana è piccola e rossa; la Dominici è grande, un po’ allungata, con la buccia gialla e leggermente ruvida e la polpa color crema; la Calvilla è la più aristocratica: bella, aromatica, profumata, ma molto delicata; delle 50 tipologie di Calville esistenti a fine Ottocento, ne sono sopravvissute sei, tra le quali le migliori sono la Bianca e la Rossa d’Inverno.  Alcune, come la Grigia di Torriana e la Buras, sono particolarmente buone cotte al forno.

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