Castello Sammezzano
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Il Castello di Sammezzano, situato a Leccio, Regello, tra il Chianti e il Pratomagno, è una costruzione eclettica,mescolanza dei generi Arabo-Bizantini e Indo-Europei, con prevalenza di stile orientalista, immerso in un parco di 190 ettari, con specie arboree arrivate da ogni angolo del pianeta, ponti moreschi, grotte artificiali, costruzioni in stile cinese e casolari in rustico toscano dal grande valore artistico.
Purtroppo, parco e castello, di incredibile bellezza, sono in abbandono, chiusi e inutilizzati da molti anni; sono stati a un certo punto visitabili grazie ad un gruppo di volontari del Comune di Reggello, ma non al momento. Le notizie seguenti sono state tratte dal sito www.savesammezzano.com
La storia. Le prima notizie del luogo risalgono all’epoca romana: intorno all’anno 1000, il castello venne infatti costruito sui ruderi di un fortilizio romano. Fra il 1000 e il 1600 la fortezza medievale e la tenuta circostante sono appartenute a varie famiglie nobili, fra cui i Gualtierotti, gli Altoviti e, infine, i Medici. Nel 1596 il Granduca Ferdinando I de’ Medici li vende a Ferdinando di Odoardo Ximenes di Aragona, la cui famiglia è originaria della Castigli, in mando della quale rimaranno fino al 1816, quando muore l’ultimo erede, Ferdinando. Nome, stemma, titoli e benei (compresa la tenuta Sammezzano) della famiglia Ximenes d’Aragona, vanno a Pietro Leopoldo, primogenito di Vittoria Ximenes d’Aragona, sorella di Ferdinando e moglie del nobile pistoiese Niccolò Panciatichi.
Alla morte di Pietro Leopoldo tutto viene ereditato dal figlio, il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona. Nel 1852-1889 quest’ultimo modifica completamente l’aspetto seicentesco del castello, invertendo le facciate (quella a nord, detta Facciata Lunare, diventa la principale, mentre quella a sud, detta Facciata Solare, diventa la secondaria), amplia superfici e volume e lo trasforma nel palazzo eclettico-orientalista forse più importante d’Europa. Allo scopo, fece costruire una fornace nel parco: mattoni, stucchi e piastrelle furono infatti realizzati lì. Nel 1878 il castello ospitò il re d’Italia Umberto I.
Alla morte del marchese, nel 1897, la proprietà, amministrata dalla figlia Marianna Panciatichi-Paolucci, nota ornitologa ed esperta di malacologia, passa ai nipoti Ferdinando, Alessandro e Marianna Di San Giorgio. Fra il 1900 e il 1915 Marianna vende all’asta arredi e suppellettili.
Dopo varie vicissitudini e provvedimenti di tutela, fra il 1940 e il 1945 il Castello viene depredato dai nazisti, utilizzato come deposito dall’Istituto Militare di Firenze e poi requisito dalle truppe alleate per oltre un anno. Nel 1955 viene venduto alla società “Sammezzano SpA.”, con l’intento di adibirlo a collegio studentesco, ma ciò non avviene. Nel 1973 viene trasformato in albergo ristorante di lusso, senza modifiche al piano monumentale, che viene preservato e usato per cerimonie, eventi, set cinematografici. Nel 1990 cessa l’attività alberghiera. Dopo altri passaggi di proprietà e tentativi di restauro, nel 2000 il Castello viene chiuso e abbandonato, diventando preda di vandali e ladri, restandolo per tutti gli anni successivi, fino ad essere completamente depredato. Oggi, il Castello di Sammezzano è sottoposto ai vincoli Sovraintendenza, ed è inserito nella “Lista Rossa” dei Beni Culturali in pericolo promossa da Italia Nostra e in quella dei 12 luoghi culturali più in pericolo d’Europa, promossa da Europa Nostra.
Dal 2015 a l’associazione Save Sammezzano svolge una campagna di sensibilizzazione, allo scopo di chiederne la tutela, il restauro e la riapertura alle visite.
Il parco. Fino all’arrivo di Ferdinando Panciatichi, all’inizio dell’Ottocento, il Castello di Sammezzano possedeva un grande giardino all’italiana, caratterizzato da ordine e simmetria, tipico delle ville rinascimentali. Il nuovo propietario decise di trasformarlo secondo i canoni del giaridno all’inglese, all’epoca in gran voga, libero da schemi e aperto verso il paesaggio circostante. Lui stesso progettò nuove strade di accesso, che seguivano l’andamento sinuoso della collina, larghe abbastanza per essere percorse dalle carrozze, e inserì moltim manufatti moresche e piante rare.
La più suggestiva è la strada che parte dalla Ragnaia, snodandosi tra boschi di abeti, querce e lecci, fino a diventare un grande viale di lecci (Quercus ilex) e sequoie (Sequoia sempervirens). Di queste ultime la tenuta conserva forse la maggior concentrazione d’Europa e un esemplare, detto Sequoia gemella, che con i suoi 53,96 metri è considerato il secondo albero più alto d’Italia. Originarie della California, queste sequoie nell’Ottocento arrivarono in Inghilterra e da qui si diffusero in tutta Europa, trovandosi però particolarmente bene in Italia e soprattutto proprio in questa zona, molto nebbiosa, caratteristica che ne favorisce la crescita. Il Marchese ne acquistò la prima pianta nel 1864.
Fece inoltre costruire un casino di caccia, destinata agli ospiti, circondata da un giardino in cui crescevano magnolie, yucche e piante di agrumi disposte non in ordine geometrico, con sentieri sinuosi e una vasca di pietra, per raccogliere l’acqua per l’irrigazione, ma oggi è molto degradato. Anche davanti al castello il giardino ha perduto completamente l’aspetto creato dal marchese, che per esempio fece realizzare un grande prato davanti all’edificio, per metterne in risalto la facciata. Un cordolo di terracotta creava sul prato disegni rispecchianti gli arabeschi della facciata, ma oggi non ne rimane alcuna traccia.
Oggi l’edificio è nascosto da grandi lecci, che fino agli anni Settanta venivano regolarmente potati, proprio per lasciar libera la vista sulla villa e sul panorama, pratica pare iniziata dallo stesso marchese Ferdinando. Il Marchese introdusse nel parco moltissime piante, da lui stesso catalogare nel 1849 in un “Plantario”, poi andato perduto. Oggi del parco ottocentesco rimane poco: gli alberi centenari, le sequoie monumentali e pochissimi altri esemplari, a causa del clima (inverni rigidi, estati siccitose), della mancanza di manutenzione, di frane e saccheggi. Negli anni Novanta sono state messe a dimora nuove piante, ma seguendo lo schema del giardino all’italiana e dunque all’opposto dei desideri di Ferdinando.
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al momento non disponibile
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