Cipolla di Cavasso
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La zona pedemontana del Friuli occidentale, e in particolare l’angolo di territorio racchiuso tra i torrenti Meduna e Cosa, era caratterizzato fino a una cinquantina di anni fa dalla ricchezza delle sue coltivazioni orticole. Cavoli, scalogno, fagioli, meli, peri, patate ma soprattutto cipolle dalla tipica tunica rossa con riflessi dorati che si tinge di toni più rosati nella zona della Val Cosa. Dentro, un cuore croccante e dolce, che la rende ottima anche da mangiare cruda e mai piccante. Le cipolle di Cavasso erano in passato note in tutti i territori circostanti, rinomate e ricercate per il colore d’oro con screziature viola, per la consistenza croccante, il gusto dolce e le benefiche proprietà purificanti.
La loro coltivazione era molto redditizia e le donne, a fine gennaio, le seminavano in un terreno riparato, la trapiantavano dopo un paio di mesi e la raccoglievano alla fine dell’estate. Dopo averle lasciate riposare e asciugare nelle soffitte delle case, intrecciavano i gambi con erba di palude – che qui chiamano palut – particolarmente resistente e flessibile, e formavano le riesti, le trecce, fatte con le cipolle più grandi. Le cipolle piccole erano invece destinate alla conservazione sotto aceto.
L’industrializzazione, il terremoto del 1976 nonché il consumismo di massa più che di qualità, ridusse drasticamente la produzione di questo ortaggio che si limitò ad essere coltivato negli orti degli abitanti della zona esclusivamente per un uso personale. Grazie, però all’Associazione produttori Cipolla Rossa di Cavasso Nuovo, costituitasi solo un anno fa, si sta recuperando la tradizione della coltivazione di questo prodotto. Grazie al ritorno di alcuni emigranti che si sono stabiliti nuovamente in questi paesi si è ripreso a parlare di cipolla e di orti e si sono anche recuperati i semi scrupolosamente conservati da alcuni anziani della zona.
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